Orchha, il regno nascosto.

di Carla

Può capitare, anzi, bisognerebbe proprio farlo capitare, che in un lungo e noioso viaggio in auto o in bus dalla superturistica e supertrafficata Agra verso i mitici ed erotici tempi di Khajuraho, ci si imbatta in un regno perduto e dimenticato.
L’ingresso, come nelle fiabe, è dimesso e nascosto: un arco di pietra parecchio rovinato nel mezzo di una sconnessa strada secondaria, a segnare l’inizio di un paesino con il consueto caos indiano di negozietti, baracchini, insegne, mucche e motorini.
Si direbbe un borgo qualsiasi, piacevole e fuori mano, appena toccato da un turismo ancora semplice e poco agguerrito che si accontenta di un’improbabile pizzeria “Mediterraneo” e di negozietti senza pretese, più adatti a una clientela locale che a colpire la fantasia dei viaggiatori occidentali.

Una strada principale con qualche diramazione, una piazza affollata di templi, un fiume, il Betwa, con l’andamento di un torrente, dove da poco è apparso un resort molto semplice.
Non a caso il nome, Orccha, significa “luogo nascosto”: con i suoi 8.500 abitanti è uno dei centri urbani più piccoli del Madhya Pradesh, nel cuore indù del centro del subcontinente e per scoprire i suoi tesori bisogna inoltrarsi a piedi lungo l’antico ponte che alla fine di una stradetta laterale porta a un sorprendente e inatteso complesso di edifici cinque-secenteschi.
Questo era il centro del regno di Orccha, fondato nel 1501 da un capo del clan Bundela, Rudra Pratap Singh, e durato fino al 1950 quando l’ultimo sovrano, Vir Singh, decise di aderire all’Unione Indiana.
Anche nel momento della sua massima espansione fu uno stato piccino, 9700 km quadrati, un po’ meno della Basilicata, ma seppe opporsi all’impero Moghul e lasciare in eredità uno dei più suggestivi e meglio conservati esempi di architettura medievale dell’India.
Passato il consunto portone di legno conviene affidarsi a una guida locale, peraltro assai economica, per inoltrarsi nel dedalo delle corti e dei palazzi, che, ben lontani dal restauro minuzioso e più vero del vero del confinante Rajasthan, non dispongono né di luce elettrica né di alcun tipo di indicazione o pannello esplicativo.
Ma l’aria di abbandono, gli affreschi nelle stanze oscure intravisti alla luce della torcia elettrica o del telefono, l’accesso a ogni possibile anfratto senza barriere né guardiani, fanno parte del fascino dell’esperienza, entusiasmante e riconciliante dopo le code in biglietteria, i percorsi obbligati condivisi con mandrie di turisti vocianti e la costante sensazione di dover correre e sbrigarsi.

Si gira così, persi nel tempo, tra scalinate corrose, stanze piccole e grandi con misteriose decorazioni e terrazze che si spalancano sulla campagna circostante dove, qua e là tra la vegetazione, sbucano altri palazzi ancora.
Ci si può fermare a contemplare fino all’ora della chiusura, alle 18 il bellissimo tramonto sul fiume dalle torri più alte e anche, volendo, rischiare di fare un volo dalle scale a tratti diroccate che portano da un piano all’altro. Un piccolo rischio per sentirsi ancora esploratori nell'”incredibile India” del turismo di massa. All’interno della fortezza che occupa l’ansa del fiume l’edificio più antico è il Raja Mahal, fatto costruire dal re fondatore di Orchha tra il 1507 e il 1531, ma terminato dal successore solo nel 1545, quello più spettacolare, un labirinto di archi indo-islamici, è il Jahangir Mahal, del 1605, omaggio dedicato, in occasione di una sua visita dell’imperatore moghul che in quel momento era il potente alleato del sovrano locale, Bir Singh Deo.

Ma non c’è solo la fortezza. Nelle campagne verdissime attorno al piccolo centro spicca la sagoma del Rai Praveen Mahal. Attorniato da un giardino ottagonale, adornato di affreschi e di archi e nicchie che lo inondano di luce, il palazzo rievoca la storia d’amore di Raja Indramani per Rai Parveen, danzatrice, poetessa e musicista, che era la sua amante e che per lui avrebbe rifiutato di seguire a corte l’imperatore moghul Akbar, che se ne era invaghito.Affaccia invece sulla piazza nel centro di Orccha, attorniato a ogni ora dal solito assembramento di mucche, cani, venditori e mendicanti, il tempio-palazzo di Ram Raja. Un luogo di culto frequentatissimo dai fedeli che ha la struttura di una dimora signorile. E che, narra la leggenda, lo era. Ma quando la statua del dio Rama venne installata sull’altare domestico, nell’attesa che il vero tempio fosse completato, non fu più possibile rimuoverla. E così il palazzo diventò tempio.
Alcune vestigia rimangono senza nome né storia, come la coppia di alte e snelle torri di mattoni a due passi dalla piazza che ricordano quelle degli Asinelli di Bologna, altre un po’ fuori portata come il maestoso Chaturbhuj Temple, che domina il borgo come un maniero medievale e da cui pare si goda un magnifico panorama.

Peccato che per arrivarci ci sia solo una scalinata del tutto esposta, diroccata e colonizzata dalle scimmie attorno a ci girano racconti sinistri di visitatori precipitati di sotto o scivolati senza scampo.
Bisogna però uscire dal centro e proseguire lungo il fiume per scoprire un’altra meraviglia locale, il complesso dei cenotafi dei re Bundela. I monumenti funebri in memoria della dinastia di Orccha sono un altro affascinante labirinto di costruzioni che combinano lo stile Chandela dei templi di Khajuraho con le architetture moghul. Un susseguirsi di sale, lingam, improvvisi affacci sull’acqua e cupole, da visitare preferibilmente all’alba, quando le rive del fiume si animano di lavandaie che battono ancora il bucato a mano sulle pietre levigate dalla corrente.
E ancora, su una collina poco lontana, il Lakshmi Narayan Temple conserva forse gli affreschi più preziosi e interessanti.
Secondo le guide a Orccha vale la pena fermarsi almeno due giorni, ma volendo godersene più a lungo la quiete e le belle sorprese si può estendere la visita all’area circostante, alla ricerca delle testimonianze del piccolo regno perduto e arrivare fino a Tehri, a una quarantina di chilometri a sudche dal 1783 fu la capitale dello stato, e visitare lo spettacolare forte di Tikamgarh.

 

Se serve, una piccola scheda

Come arrivare:
In treno: stazione di Jhansi (18 km)
In aereo: Aeroporto di Gwlior (121 km, circa 3 ore)
Per strada: 18 km da Jhansi, 121 da Gwalior, 442 da Delhi, 180 km da Khajuraho

Quando: periodo migliore tra ottobre e marzo