Abbattere gli (ex) idoli

di Carla

E’ giusto abbattere i monumenti che non ci rappresentano più? Che urtano una nostra nuova sensibilità? Questione d’attualità, ma vecchia di secoli e forse di millenni. Che non ha e non ha mai trovato una risposta univoca nella lunga storia dell’iconoclastia.
A chi dice che è sbagliato perché sono comunque testimonianze storiche e ricorda i Buddha di Bamijan fatti saltare in aria dai talebani, in genere si obietta con gli esempi classici del monumento all’Hitler, o allo Stalin di turno. Nell’Iraq del dopo Saddam le onnipresenti statue del raiss e i suoi multiformi ritratti in vesti di pompiere o di medico o di pellegrino vennero abbattuti, sfregiati, presi a mitragliate nella gioia furibonda della caduta del tiranno. Nessuno si sognò di obiettare.
Oggi che in nome dell’odio al razzismo e in memoria di George Floyd si chiede di eliminare la statua di Montanelli piuttosto che di Churchill il discorso, si argomenta, è tutto diverso.
Ok, il vecchio Indro ebbe una “moglie” etiope e dodicenne, di cui mai si pentì, mentre era impegnato in una sanguinosa impresa coloniale, ma scriveva tanto bene e fu gambizzato dalle Br. E davvero si può mettere in dscussione l’uomo protagonista della riscossa contro Hitler, l’eroe dell’ora più buia?
Però se già di parla dell’opportunità di conservare i vistosi omaggi equestri e appiedati al re Leopoldo II del Belgio, l’uomo che si comprò il Congo come sua colonia personale ed è ritenuto responsabile dell’assassinio e della mutilazione di milioni di involontari schiavi, ecco che divento anch’io un po’ iconoclasta.
E davvero ci è necessario il monumento a Cecil Rhodes, fondatore della Rhodesia e padre non solo spirituale dell’apartheid?
Forse la soluzione è un disclaimer, come su Twitter. Teniamoli pure, se ci piacciono (alcuni sono anche artisticamente orrendi) ma spieghiamo per bene al passante chi sta osservando. Luci e ombre.