Campi di concentramento, non memoria ma presente
E’ passata la giornata della memoria, anniversario simbolo dell’ingresso delle truppe sovietiche nel campo di sterminio di Auschwitz, e si sono ripetuti i soliti “mai più” di prammatica, ma la realtà è che il mondo è tuttora pieno di campi di concentramento dove la fame, la malattia e la morte sono “danni collaterali” del tutto accettabili o previsti.
«Dai kwan-li-so della Corea del Nord ai láodònggǎizào della Repubblica Popolare Cinese, oggi come 76 anni fa milioni di persone sono private della loro libertà per motivi politici, etnici o religiosi e sono spesso rinchiuse in strutture detentive in cui non esistono i diritti umani» denuncia l’ l’Organizzazione Mondiale per le Relazioni Internazionali (WOIR). fondata nel 1978 per iniziativa di Emilia Lordi-Jantus, già funzionaria della Food and Agriculture Organization of the United Nations (FAO) e del World Food Programme (WFP).
I campi nordcoreani, di cui si sa molto poco perché assai raramente se ne esce sono e ne esistono solo immagini satellitari, sarebbero almeno 20, inclusi sei destinati esclusivamente a prigionieri politici, detenuti senza processo e senza una data di scarcerazione. Tra gli 80 mila e i 130 mila secondo la stima del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America è di un numero compreso tra gli 80 mila e 120 mila prigionieri politici.
Nei kwan-li-so una giornata tipo inizia alle 4 di mattina e finisce alle 8 di sera. Il lavoro consiste nello spaccare rocce nelle miniere d’oro e di antracite o nel disboscare grandi aree trascinando a mano i tronchi abbattuti.
«I prigionieri sono schiavizzati e denutriti e dormono su tavole di legno in baracche non riscaldate dove la temperatura d’inverno può raggiungere i meno 20 gradi. Quando muoiono, vengono sepolti nudi affinché la loro unica uniforme possa essere riutilizzata da un altro prigioniero» riporta Alejandro Gastòn Jantus Lordi de Sobremonte, direttore e segretario generale della Woir.
In Cina, nei láodònggǎizào, i prigionieri, per lo più politici, lavorano per 18 ore al giorno e se non riescono a tenere il ritmo vengono torturati e privati del cibo.
Secondo un’indagine della Laogai Research Foundation, di questi campi nella Repubblica Popolare Cinese ce ne sono 1422 dove sono imprigionati 8 milioni di persone. La definizione di “detenuto politico” è, a sua volta, fuorviante, spesso l’unica loro “colpa” è di appartenere a minoranze etniche come quelle tibetane, mongole ed uigure. Questi ultimi, di fede musulmana e etichettati sbrigativamente dal regime come “terroristi”, conterebbero da un milione a un milione di detenuti mai sottoposti a processo e direttamente internati in centri di rieducazione con lo scopo di estirparne tutte le presunte idee estremiste e pulsioni separatiste. L’ONG Human Rights Watch (HRW) ha incluso nel suo rapporto annuale 2020 un’analisi sullo stato dei diritti umani in Cina, invitando la comunità internazionale a respingere “l’oppressione più brutale e pervasiva che la Cina ha visto in decenni”
Sui prigionieri cinesi, secondo alcuni testimoni, verrebbe addirittura praticato, mentre sono ancora in vita, l’espianto di organi. Un’accusa che, ovviamente, il governo respinge.
E c’è la triste vicenda dei rohingya, un gruppo etnico musulmano inviso al governo birmano che secondo i rapporti delle Nazioni Unite costituisce una delle minoranze etniche tra le più perseguitate al mondo. In Myanmar, dalla fine del 2016,è in atto contro di loro una una dura repressione, soprattutto nella regione nord-occidentale del paese. Oltre alle migliaia di morti e ai detenuti in patria vengono denunciate le terribili condizioni dei profughi rohingya rifugiati in Malesia e in Bangladesh dove sono detenuti in appositi centri e trattati come migranti illegali, spogliati di ogni diritto. Si parla di un milione di persone distribuite tra il Myanmar, la Malesia e il Bangladesh.
E’ un elenco lungo, che va dall’Asia centrale, all’Eritrea, alla Repubblica Centrafricana fino a luoghi più vicini al mondo occidentale eppure da anni teatro di conflitti tanto sanguinosi quanto dimenticati, come la Siria, l’Iraq e lo Yemen dove da anni è in atto quello che gli osservatori internazionali definiscono senza mezzi termini un genocidio. O la Libia dove almeno cinquemila richiedenti asilo sono ancora detenuti per un tempo non definito in dieci centri ufficiali gestiti dal Dipartimento per combattere l’immigrazione illegale (DCIM) del governo di accordo nazionale, riconosciuto a livello internazionale. Qui vengono rinchiusi, in condizioni disumane, come hanno denunciato e documentato molte ONG, i migranti arrivati da tutta l’Africa subsahariana. Dal 2017, infatti, l’Unione Europea finanzia la Guardia costiera libica per impedire ai migranti di raggiungere le coste europee.
Il nazismo, di ieri,fu sconfitto ma ci vollero anni perché gli eredi si decidessero ad accettare le mostruosità commesse dal popolo di Goethe. Quelli moderni, di nazismo , temo che, saranno più longevi, e nessuno farà mai ammenda, sarà dura sconfiggerli poiché ai governi non interessa.