Da Trieste a Capri le alghe che “restaurano” i fondali
Restauro ecologico dei fondali marini. Se ne occupano da 15 anni gli algologi dell’Università di Trieste specializzati nel ripristino delle foreste marine di macroalghe, che da questo mese sono impegnati con i Faraglioni di Capri. Il team dell’Ateneo, che agisce nell’ambito del progetto europeo ROC-POPLife si è già occupato anche delle aree marine protette di Miramaredelle Cinque Terre e di Portofino , di Miramare e di Strugnano, in Slovenia)..
Le foreste marine, che sono protette da direttive europee e accordi internazionali, al pari di quelle terrestri rappresentano uno degli habitat più produttivi e importanti del pianeta e stanno rapidamente scomparendo in tutto il Mediterraneo. Le cause sono molteplici, spesso legate agli impatti antropici, soprattutto la pesca, a cui si aggiungono i cambiamenti climatici.
Quello messo a punto dal team triestino è un metodo applicato ormai in diverse aree del Mediterraneo ed è riconosciuto dalla Comunità Europea come buona pratica di riferimento per il restauro marino.
“A Trieste – spiega Annalisa Falace, docente di Algologia e referente scientifico del progetto in corso a Capri – abbiamo iniziato 15 anni fa a occuparci del restauro ecologico di un’alga bruna che colonizza i fondali del Mediterraneo formando foreste ricche di biodiversità, capaci di produrre ossigeno e abbattere la CO2. Negli anni abbiamo sviluppato e testato metodi di coltura di queste alghe per riforestare le aree desertificate in modo eco-sostenibile”.
“A Capri – prosegue – stiamo lavorando su popolamenti superficiali e profondi oltre i 40 metri, utilizzando per la prima volta anche altri approcci innovativi recentemente sviluppati dal nostro gruppo di ricerca, perché l’intervento di ripristino abbia la massima efficacia con il minimo impatto sui Faraglioni, che rappresentano un ambiente estremamente delicato e di pregio non solo dal punto di vista biologico ed ecologico ma anche paesaggistico”.
L’obiettivo è ripristinare la biodiversità dei Faraglioni dopo la desertificazione causata dalla pesca illegale del dattero di mare.
La prima fase dell’operazione partita la scorsa settimana prevede la caratterizzazione tassonomica delle foreste marine capresi, individuando i siti che sono stati maggiormente danneggiati dalla pesca di frodo e più idonei al restauro ecologico. A giugno e luglio, invece, è previsto l’intervento di riforestazione vero e proprio che si avvarrà di un nuovo protocollo di coltura. L’originalità di questa metodologia di restauro sta nella produzione in acquari di nuove “plantule” da reintrodurre in ambiente marino, senza danneggiare i siti donatori. Finora gli interventi di restauro di foreste marine sono stati realizzati mediante il traspianto di popolamenti da un sito all’altro, impoverendo così i siti “donatori”. Poiché si tratta di specie protette e a rischio di estinzione, questo tipo di interventi andrebbero vietati, in quanto in contraddizione con il principio di conservazione di queste specie. Purtroppo, si tratta ancora della pratica più diffusa in Mediterraneo. La necessità di ottenere un gran numero di “plantule” è uno dei limiti maggiori alla realizzazione su larga scala di interventi di restauro biologico. Quindi è stato necessario ottimizzare la riproduzione utilizzando metodi non distruttivi. ROC-POP Life ha puntato a impiegare questo nuovo protocollo e l’utilizzo di materiali innovativi e biodegradabili per la produzione di “moduli” ecosostenibili per reintrodurre queste foreste marine laddove sono state distrutte. ROC-POP Life, in linea con le direttive europee, non ha previsto l’uso di plastiche o materiali non biodegradabili che potrebbero creare un danno secondario all’ambiente.