A pranzo con D’Annunzio

di Carla

La cucina del Vittoriale, la casa-museo di Gabriele D’Annunzio sul lago di Garda, è un’oasi di organizzata sobrietà nel caotico, ridondante e affascinante accumulo delle altre stanze. Ed è infatti l’unica da cui il padrone di casa si teneva alla larga, non avendo nessuna personale inclinazione a spignattare e confidando totalmente nell’abilità della cuoca, Albina Lucarelli Becevello. Trevigiana, a servizio fin dall’adolescenza a casa di nobili veneziani, D’Annunzio la scopre a Venezia, ai tempi della “Casetta Rossa” e quando decide di mettere su casa la assume come cuoca personale.
Nel “convento” assai terreno del Vittoriale, dove D’Annunzio era il priore e le infinite amanti diventavano “badesse di passaggio”, anche lei aveva un soprannome in tema ed era stata ribattezzata suor Intingola, ma anche Suor Ghiottizia, o Santa Cuciniera.
Non aveva un compito facile, perché doveva essere a disposizione 24 ore su 24. D’Annunzio aveva orari erratici. Le richieste più insolite potevano arrivare nei momenti più strani, come testimonia questo biglietto custodito negli archivi della Fondazione “Cara Albina, ti prego di svegliare e incitare il tuo genio per comporre un sublime Risotto alla Milanese – da offrire a una vera “meneghina” che lo colloca tra le bonissime cose del basso mondo – ma dopo il Principino”. Benché D’ Annunzio fosse diventato Principe di Montenevoso dopo l’impresa di Fiume, il “principino” non era uno dei suoi figli, ma una personalissima parte anatomica.
In cambio di una disponibilità a lavorare h24, la cuoca aveva a disposizione attrezzature all’avanguardia. La cucina era dotata di «un’arpa cuciniera», cioè un telaio per la pasta alla chitarra, una specialità che D’Annunzio amava molto, legata alle sue origini abruzzesi. Per garantirne la freschezza il Vittoriale disponeva anche di un pollaio. La cucina aveva anche un camino, uno scaldavivande, una ghiacciaia e persino, rarissimo all’epoca, un frigorifero elettrico.
E, benché esigente, a tavola, come in tanti altri campi, il Vate spaziava senza limiti di sapori.
Tra i suoi cibi favoriti i biografi elencano le costolette di vitello sottili e croccanti con le patate altrettanto sottili e croccanti, gli speciali cannelloni di Suor Intingola, che risvegliavano il suo estro poetico, la selvaggina, il pesce, i molluschi e i frutti di mare, la frutta e i risotti; famoso quello alla Duse, con gamberetti e tartufi. Celebri sono anche la bizzarria dei suoi orari e delle sue abitudini. Tra le altre cose considerava volgare mangiare in pubblico e alla tavola al posto suo spesso accoglieva gli ospiti la Cheli, una gigantesca tartaruga in bronzo e smalto opera dello scultore Renato Brozzi ed effige fedele dell’animale un tempo ospite del giardino della Prioria; morta, pare, per aver fatto indigestione di tuberose. Il sottinteso era chiaro a tutti: indulgere ai peccati di gola è pericoloso. Una regola che il poeta da parte sua trasgrediva volentieri – «Pollo, pernice, biscotti al formaggio divoro nel fresco mattino settembrino», tanto che la sua ritrosia ai pasti pubblici sembrava derivasse , oltre che dal discutibile stato di conservazione dei suoi denti, dalle abbuffate private che si concedeva fuori orario.  Il primo punto pare fosse da imputare alla fobia per il dentista, ma anche all’amore sfrenato per gelati e dolci, soprattutto quelli per lui creati e da lui battezzati come  «La cocolla di frate nevoso», «La mammella di Sant’Agata», «Le ostie di suor Ghiottizia».
Anche fuori di casa e in trasferta, il Comandante non si risparmiava e l’Italia tutta conserva traccia delle sue avventure gastronomiche, quasi sempre legate alle avventure sentimentali, come elencava quasi dieci anni fa un simpatico articolo del Gambero Rosso.
Restando in zona Vittoriale, sul lago di Garda, ad Arco, al ristorante Gourmet, lo chef Peter Brumel, 2 stelle Michelin, appassionato fan dannunziano, gli ha dedicato un piatto ricordo e un menù di sei piatti. Con il motto di “Osa l’inosabile” il percorso è un omaggio all’universo del poeta, ricco di sapori, citazioni e richiami: Nel bel tempo in terre d’Abruzzo e il Montenegroni (Frittata soffice alle cipolle); I messaggi a “Suor intingola” Albina Lucarelli Becevello (can-nel-loni, can-nel-loni, can-nel-loni); L’ovo (Uovo, pecorino, patata e paprica dolce affumicata); Correva l’anno 1897 “Il collegio di Ortona e il banchetto senza fine (Maccheroni alla chitarra e stracotto alla coda di bue e Parmigiano); La casseruola (Il pescato, una passione senza fine a, d, g, o); Memento Audere Semper, ricordati di osare sempre (Costolette di vitello, mela e mandorle); Analogo è lo stato d’animo che prova davanti al Parrozzo dell’amico Luigi D’Amico, tanto da ispirargli questo sonetto dialettale “O Ddie quanne m’attacche a lu parrozze, ogne mattine, pe’ lu canna rozze, passa la sise de l’Abbruzze mè” (Il parrozzo, l’aurum & lo zabaione); Il rito della moka secondo Caffè Illy! (Moka pulcina e Saiwa!).