Ti conosco mascherina?
Provate a digitare “mascherine” su Google e vi si aprirà un mondo, anche se non esattamente un mondo incantato. C’è chi insegna, con tanto di tutorial, a realizzarle con il “fai da te”, usando scampoli di stoffa, ma anche tessuto non tessuto, mutande, assorbenti, vecchi fazzoletti, una t-shirt passata di taglia, insomma quel che si trova in casa. E in varie fogge, con taschino – dove può essere inserito, ad esempio, un filtro per il caffè – o semplice, senza taschino. E se non si sa cucire, niente paura, si può fare lo stesso, bastano un paio di forbici e un metro. Taglia qui, buca lì, infila di là, ecco fatto.
Ma chi affida gli abiti usati ai cassonetti della Caritas o da tempo è passato ai fazzoletti di carta o esita a infilarsi un paio di mutande sul viso può ugualmente (credere di) proteggersi senza ricorrere al mercato nero su internet dove le mascherine omologate hanno ormai raggiunto la valutazione dei diamanti. Carta da forno, un paio di elastici, una spillatrice, delle forbici e un righello sono le dotazioni richieste per approntare una mascherina che si assicura “impermeabile” . Anche al respiro, probabilmente.
Approfittando del tanto tempo libero a disposizione con la quarantena chi ha capacità manuali può anche creare una bellissima mascherina intessuta seguendo l’esempio del Club delle cucitrici di Voltana che, dopo il successo dell’albero di Natale all’uncinetto si sono dedicate a confezionare mascherine che vengono distribuite gratuitamente. «Questo tipo di mascherina – si legge in una nota inviata alla stampa – non garantisce, ovviamente, alcuna certezza di protezione…». Ecco, però forse si possono confezionare nei colori moda, da abbinare agli abiti.
Questo è quello che si racconta abbiano iniziato a ordinare ai sarti di fiducia gli elegantoni nella prospettiva di una prossima lunga vita sociale in mascherina, sì, ma dello stesso tessuto, e colore, della camicia.
Poi, se proprio non si riesce a reperirne o a confezionarne una, si può convertire a uso mascherina anche una sciarpa o il collo del maglione a dolcevita, o, per una nota di originalità, il passamontagna o la maschera da sub, che danno anche quell’idea di essere un po’ in vacanza e non in fila per entrare al supermercato.
Anche la regione Veneto, ribadendo la sua vocazione autonomista si è fatta produttrice in proprio di mascherine. I manufatti, prodotti dalla ditta Grafica Veneta di Trebaseleghe, in provincia di Padova, famosa per essere quella che stampa – tra gli altri – i libri della saga di Harry Potter, sotto al grande logo della Regione recano scritta l’avvertenza che “non sono dispositivi di protezione individuale”.
Mentre anche a livello internazionale infuria il dibattito sanitario sulla necessità o meno di indossarle e sulla distanza a cui può arrivare il contagio – e al solito ognuno inizia a provvedere per sè, dalle regioni, che promettono distribuzioni fantasma, ai singoli supermercati che ammettono solo chi le indossi – l’attenzione si sposta, inevitabilmente sul tipo di mascherina “giusto”.
Perché anche a non voler contare quelle artigianali, ce ne sono diversi modelli e non tutte vanno bene. Anzi, possono essere controproducenti, avverte l’Oms.
Ad esempio le semplici mascherine utilizzate in alcuni settori a scopo igienico, come nell’industria alimentare o nella ristorazione, che si trovano (o almeno si trovavano) in vendita a pochi centesimi, non sono pensate per proteggere le vie respiratorie di chi le indossa. Non offrono quindi alcuna garanzia.
Ma anche le mascherine chirurgiche, a trovarle, presentano delle incognite. Ce ne sono di diversi tipi, con grado crescente di protezione a seconda del numero di strati filtranti e quindi non è detto proteggano dal famoso droplet, insomma lo starnuto, o il colpo di tosse infettante. In ogni caso devono essere sostituite dopo qualche ora perché inumidendosi diventano meno efficaci. Quindi chi agli inizi dell’epidemia ne ha recuperata una da un amico e dopo due mesi continua a esibirla orgogliosamente nei selfie, non ha davvero motivi per sentirsi così in gamba.
Ci sono poi le maschere dotate di filtri, in realtà respiratori con filtranti facciali: queste sono in effetti l’unico dispositivo in grado di dare una certa protezione dai virus. Anche qui con distinguo in cui il comune mortale può facilmente perdersi. L’efficacia viene indicata con sigle FF da P1 a P3. Le FFP2 e FFP3, che hanno un’efficacia filtrante rispettivamente del 92% e del 98%, sono le più indicate per la protezione da Covid-19. Ma durano, se va bene, qualche ora, poi il filtro si esaurisce e devono essere sostituite.
E c’è di peggio, a volte mettere la mascherina significa aumentare il rischio anziché diminuirlo perché l’idea è che si debba tenerla su sempre e non toccarla con le mani.
Concetto trascurato, per esempio da chi la indossa e la cala per fumarsi una sigaretta o per parlare al telefono, magari mentre è in coda, chi la mette sulla bocca ma non sul naso perché gli dà noia, chi la toglie un attimo per strofinarsi il viso o grattarsi, tutte tipologie ampiamente osservabili nelle brevi e necessarie uscite contingentate.
Perché la mascherina ha un’etichetta: per indossarla in modo corretto, avvisa l’Oms, bisogna prima lavarsi le mani con acqua e sapone o strofinarle con una soluzione alcolica; poi metterle prendendole dall’elastico ed evitando di toccarle. Devono coprire naso e bocca. Quando diventano umide, vanno sostituite con una nuova e non riutilizzate. Per toglierle vale la stessa regola: vanno prese dall’elastico ripiegandole su se stesse ed evitando di toccare la parte anteriore con le mani. Una volta buttata – rigorosamente nell’indifferenziata, non cedete al riflesso condizionato del riciclaggio – è necessario lavarsi nuovamente le mani.
Infine, indossarle in contesti dove non è necessario, avverte l’Oms – e cioè ovunque tranne che se si è malati o se si assiste un malato – può dare un falso senso di sicurezza e indurre a non rispettare il distanziamente sociale o a trascurare l’igiene delle mani. Perché se ci si mette la mascherina ci vorgliono a maggior ragione anche i guanti. E no, quelli di lana fatti all’uncinetto dall nonna probabilmente non funzionano.