Il drone pellegrino
Sono stanco di tutto questo, o Buddha, quanto sono stanco. Ogni giorno, più volte al giorno, devo scattare stupidi selfie (Selfie!!! Dio mio) di un gruppo di persone equipaggiate come se dovessero affrontare le privazioni del deserto di Gobi, che sfoderano sorrisi dentistici e agitano in aria in gesto di fioco saluto inutili racchette da camminata.
Voglio dire, sembrano seri, determinati. E invece percorrono, per lo più chiacchierando amenamente, un numero ridotto di chilometri su una strada piacevole e in gran parte pianeggiante, mentre i loro bagagli, valigie di pregio, what else, viaggiano in jeep e li aspettano nei confortevoli alloggi dove la sera si ritirano. Stanchi, stanchissimi. E ubriachi, ubriachissimi, dopo cene epiche e assaggi generosi di tutto l’alcol locale e internazionale disponibile.
Sono, Signore perdonami se uso invano questo sacro nome, pellegrini. E io, io sono il drone che deve documentare il loro percorso da una dimenticabile località in mezzo al nulla fino a Santiago de Compostela.
Mi presento: sono cinese di nascita, acquistato su Amazon e scelto per la mia versatilità e ingegnosità abbinate a una piacevole facilità di utilizzo. Inoltre, peso molto poco e quindi per guidarmi non occorrono patenti o autorizzazioni, basta un telefonino. Sono il drone della porta accanto. Amichevole, servizievole, affidabile, veloce.
Posso fare panoramiche, zoomate, picchiate, riprese orbitali e tutto quanto è specificato nelle istruzioni. Produco un ronzio discreto, che a qualcuno ricorda le fusa dei gatti, ad altri le libellule, e se mi si porge una mano ci atterro, leggero come un piccione a piazza San Marco, ripiegando obbediente le mie eliche. Insomma, valgo la spesa. Che, tra l’altro, non è ingente.
Però, devo dire, per quanto cinese, o forse, chissà, proprio perché cinese, (tibetano, a essere precisi), ho una mia spiritualità. Offesa, violata brutalmente, ogni giorno, da questo branco di imbecilli che devo, mio malgrado, riprendere. L’insostenibile leggerezza delle loro menti mi ferisce. Camminano pensando alla prossima tappa nel bar caratteristico dove faranno incetta di ogni sorta di cibo e bevanda, raccolgono timbri come figurine di un concorso, si sfidano in gare insensate a chi arriva prima all’albergo. Mi usano per documentare i loro traguardi: una chiesa o un’osteria, per loro fa lo stesso.
E io. Io mi presto. E’ il mio lavoro. Ronzo obbediente in mani blasfeme, riprendo rumorose foto di gruppo, documento imprese profane e trascurabili come fossero imperdibili documenti storici.
Ma adesso basta, la misura è colma.
Stamattina ci siamo alzati presto. La nebbia infiocchettava l’orizzonte. C’era un’atmosfera caliginosa e sospesa che sembrava preludere a un colpo di scena. Tutti sorridevano a tutti. Buen Camino, buon Cammino. Anche a te….Il mio padrone mostrava, orgoglioso, agli amici una pallina da golf. Lui è un campione di questo sport. O almeno, lo era, fino a quando, poco tempo fa, è stato battuto. Capitemi. Sì, il prestigio internazionale, il nome e quant’altro. Ma ci sono anche i soldi. Questi tornei fruttano soldi veri, che fanno impennare il conto in banca. C’è un avversario. Più giovane, più tonico, più veloce. Lo ha battuto sonoramente, e questo non deve più accadere. Ma soprattutto, lo ha umiliato. Ha conquistato le copertine delle riviste, le aperture dei siti, i lanci d’agenzia, il cuore dei fan e delle immumerevoli signore appassionate a questa nobile disciplina che richiede polso, disciplina e fisico d’acciaio. Ha avuto interviste, posti d’onore nei talk show, gli hanno chiesto opinioni praticamente su tutto, dalla ricomparsa dell’orso sulle Alpi alla possibilità di una nuova crisi dei subprime. Ha avuto molto, molto di più del fisiologico e dovuto quarto d’ora di celebrità a cui ognuno potrebbe legittimamente aspirare.
C’è una cosa ben peggiore dell’anonimato a cui la maggior parte della gente si rassegna facilmente: perdere la celebrità da un giorno all’altro. E’ devastante, genera brutali crisi d’astinenza.
E così lui ha avuto questa grande idea. Intraprendere il Cammino di Santiago. Per riconciliarsi, per pentirsi, per esprimere un auspicio. Subito comunicata abilmente dal suo ufficio stampa, la trovata ha fatto presa.
Il campione riscopre la sua anima, ritrova le umili radici dei suoi avi raminghi lungo le vie d’Europa.
Vi state chiedendo perché mai questo tizio del tutto ordinario aveva avi raminghi? Sicuri di volerlo sapere? Ok, aveva un nonno merciaio ambulante. Ecco tutto. Ma ha funzionato. Non bastava però, gli hanno spiegato i suoi consulenti per l’immagine, ci voleva un gesto, occorreva un simbolo forte, un sacrificio.
I pellegrini, devo averlo letto su qualche depliant, un tempo usavano appendersi al collo grandi pietre che portavano fino alla cattedrale di Santiago, in segno di penitenza e di voto. Oggi si sceglie qualcosa di più agile, un sassetto, un oggetto personale, un peso simbolico da lasciare in pegno della grazia richiesta.
E lui, bè, lui ha questa pallina che, dice, gli ha sempre (quasi sempre) portato fortuna. Ma non importa, se ne separerà, la sacrificherà a questo percorso spirituale, cito testualmente, che sta affrontando per tornare a essere un vincente, uno sportivo ai massimi livelli, per ristabilire il suo equilibrio interiore e riconciliarsi con la sua parte bambina, con la sua grande, innata fede in un Dio misericordioso.
Così, un selfie dopo l’altro e non senza grandi lamenti e imprecazioni perché la strada saliva “troppo”, siamo arrivati su questo colle. Da qui si vede Santiago raccolta attorno alla sua grande cattedrale. Ora come un tempo e come se alla periferia della città non fosse cresciuta un’ignobile selva di casermoni, le sue guglie catturano lo sguardo. Sono una promessa e un traguardo. Scorgerle, dopo migliaia di chilometri di fatica, per i pellegrini veri, doveva essere un bel momento. Forse lo è ancora. Per il mio padrone, invece, è l’ennesima occasione per uno show. Perché lì, ai piedi di un monumento al pellegrino che raffigura due giganteschi viandanti con tanto di bordone, ha deciso che deporrà la sua pallina da golf.
Qui, e non a Santiago, o a Finisterre, come la maggior parte dei comuni mortali. Vi state chiedendo perché?
Perché la sua amica, che fa la fashion blogger ed è così pigra da farsi trasportare in taxi da uno “spot”all’altro, così lei chiama le tappe, e le soste, appena arrivata e dopo essersi un attimo lagnata per aver dovuto fare l’ultima salita a piedi- lo guardi bene, questo non è un fuoristrada, le ha detto il taxista scaricandola ai piedi della collina – ha ripreso fiato e ha cinguettato: Qui, qui è perrfetto, guarrda che scorrcio.
Stavano allestendo il set, tutti riuniti attorno a lui, in ginocchio con la pallina (autografata) tra le mani, pronta per essere deposta ai piedi delle statue, l’amica fashion blogger un po’ defilata (lui ufficialmente è ancora sposato con un’altra) e io ero stato predisposto per riprendere la scena, quando me ne sono andato.
Non è professionale, lo so. Ma anch’io ho una mia spiritualità. E soprattutto, come è specificato nelle istruzioni, una notevole autonomia di volo. Santiago era proprio lì davanti, ci voleva un attimo e non ne potevo davvero più.
Li ho piantati in asso. Vorrei potervi far vedere le riprese della faccia sorridente del mio ex padrone che si incupisce via via che la ripresa dall’alto in campo lungo si estende sempre più. A un certo punto, mi ha persino lanciato dietro la pallina, ormai mancato ex voto , cercando inutilmente di colpirmi e strillando: “Torna indietro, torna subito qui. Immediatamente. Te lo ordino”.
Ma non ci penso nemmeno a tornare. Sono libero, per la prima volta nella mia vita, ed è una sensazione esaltante. Santiago vista dall’alto è fantastica. Non mi stanco di riprendere i fiumi di persone che arrivano da ogni angolo del mondo, i pinnacoli della cattedrale, la grande piazza che tutti e tutto accoglie e dove ci s’incontra e ci si saluta anche tra perfetti sconosciuti.
E’ lì che ho visto per la prima volta il mio nuovo padrone, cioè il mio nuovo, e primo amico, come preferisco chiamarlo. Un giovane sacerdote sorridente, dall’aria composta e modesta che stava accompagnando sulla piazza un gruppo di ragazzini. Pellegrini veri, l’ho capito al primo sguardo. Aveva una mano tesa, a indicare la cattedrale. Mi sono posato con tutta la leggerezza possibile su quella mano che sembrava pronta ad accogliermi. E lo era. Ho capito che era il destino a farci incontrare quando ho visto che aveva un telefonino identico a quello del campione. Cioè tutto l’occorrente, con una piccola applicazione da scaricare e naturalmente un cavo d’ alimentazione, per utilizzarmi al meglio.
Sono felice, adesso, finalmente ho un’occupazione degna. Con Cristobal lavoro benissimo. Lui accoglie e accompagna i pellegrini sulla piazza e nella cattedrale, io li riprendo. A loro fa piacere avere un video che serbi il ricordo della conclusione del Cammino e del loro arrivo a Santiago e io ogni volta mi entusiasmo nel vedere i loro visi radiosi, nel sentire le loro esclamazioni di gioia e di sollievo.
Del mio ex padrone ho letto sui giornali: pare che dopo avere in qualche modo concluso la sua sceneggiata sia tornato a giocare ma non vince più nulla. Non si scherza con i santi.