Niente Eden, il virus danneggia anche l’ambiente
Fra tante disgrazie, il Coronavirus almeno aiuterà l’ambiente. Una certezza commentata e corredata sui social da vignette con dialoghi surreali tra un virus e un pianeta Terra più o meno di pari dimensioni con la Terra che lo ringraziava per averle concesso una pausa, da foto di daini, delfini, e altre specie terrestri e acquatiche che si riappropriavano di spazi urbani, porti deserti e persino autostrade, da video su acque tornate limpide, da lodi all’aria pura, da riprese dal drone che mostravano il mondo come non lo avevamo mai visto e così via.
E’ stato carino. In due mesi di clausura, per alcuni minuti tutto questo ci ha consolato di non poter andare da nessuna parte, nemmeno ai giardinetti, di rischiare il contagio (forse) andando a comprare il pane e ci ha dato la sensazione di essere lì, a Venezia o a New York senza la solita folla, di contemplare di persona quel delfino, quel daino, quel cinghiale., quell’acqua cristallina. Ci ha risollevato il morale, alla fine, è vero, non tutti i mali vengono per nuocere.
Ebbene no, il vecchio Covid-19 lacera il suo pesante segno anche sull’ambiente. Lo dice il Wwf , attirando l’attenzione su alcuni dati critici. Come, ad esempio, la riduzione dei finanziamenti dei governi alle aree protette e il crollo del turismo in luoghi cruciali per la conservazione della natura. Il primo punto è ovvio, il secondo potrebbe essere opinabile, perché alla fine a volte il turismo devasta più che aiutare. Ma se si pensa a luoghi isolati come i parchi naturali o le riserve, la presenza umana dei turisti e dei guardiaparco è l’unico, fragile baluardo contro bracconieri, trafficanti di specie protette e altri criminali. Inoltre, sottolinea il Wwf, l’economia del turismo ha permesso di finanziare aree protette, progetti di conservazione e sistemi di economie locali, cruciali per garantire un minimo di benessere alle comunità che contribuiscono alla gestione dei sistemi naturali. In alcuni paesi, infatti, il turismo dipende quasi esclusivamente dalla natura, soprattutto dalla fauna selvatica (World Bank, 2016): nelle sole aree protette genera annualmente un volume, sottostimato, di oltre 850 miliardi di dollari tra spese dirette ed indotto. Il crollo dei flussi turistici quindi, se da una parte riduce alcune pressioni sull’ambiente, dall’altra rischia di far saltare l’economia di molte aree protette che da questi dipendono.
E secondo il Wwf proprio questo sta avvenendo perché a causa della pandemia c’è già stata una riduzione del 30% del budget destinato ad alcune specifiche aree protette. Allo stesso tempo le pressioni verso le risorse naturali, specie e habitat protetti, è andato crescendo. Durante la pandemia infatti nel mondo si è assistito a uno spostamento in massa dalle aree urbane a quelle rurali. Detto in soldoni, chi non aveva soldi per andare al supermercato, è andato a “fare spesa” nei boschi. In Sud America, in Russia e in altri paesi i ranger segnalano il preoccupante aumento delle persone che entrano nelle aree protette per la caccia e per la pesca.
Dai rarissimi ibis giganti uccisi in Cambogia, alla ripresa alla grande del bracconaggio dei rinoceronti in Sud Africa, fino ai massiccio traffico di pangolini, una specie ad alto rischio di estinzione e che in Africa e in Asia è apprezzata sia per la carne, sia per le squame usate nella medicina tradizionale. Animali, tra l’altro, questi ultimi, sospettati di essere veicolo di trasmissione per il Coronavirus agli esseri umani.
C’è poi il rischio che il virus contagi le grandi scimmie che con gli esseri umani condividono gran parte del patrimonio genetico come i rari gorilla di montagna.
Nell’immediato e anche senza scomodare i massimi sistemi c’è poi il dilagare, denunciato da molte associazioni ambientaliste, dei guanti usa e getta in plastica usati per difendersi dalla possibilità del contagio e che in effetti gettati dove capita raggiungono il doppio risultato di inquinare e forse anche diffondere il virus.