La vigilia
Ahmed è un vero idiota, un guastafeste. Un cretino. E forse anche un kuffir, un miscredente, malgrado i suoi proclami. Non ci posso credere che ha rovinato tutto così. Quando usciremo di qui gliela farò vedere io, altro che martire, lo scannerò come un capretto e lo darò da mangiare ai maiali. E ai cani. Ma nemmeno loro lo vorranno, è troppo impuro anche per la più impura delle bestie.
Perché è colpa sua, tutta e solo sua se adesso, invece che nel paradiso di Allah siamo qui in guardina, custoditi da un secondino grasso e trattati come comuni malfattori, in attesa di essere giudicati per un elenco di reati ridicoli e infamanti: rissa, molestie, danneggiamento, resistenza a pubblico ufficiale e non so cos’altro perché non ho nemmeno ascoltato quell’idiota di un avvocato d’ufficio.
Io ero destinato a testimoniare l’autentica fede sacrificando la mia vita terrena nel nome di Allah, non a litigare come un ubriacone in un albergo pieno di infedeli.
Insomma, è andata così. Arriviamo in questa città dove dobbiamo prepararci alla nostra prova. E andiamo subito all’hotel, no, a posare le valigie. Io noto immediatamente che è di lusso, ho un certo occhio perché da bambino con mio padre, che era ambasciatore, di questi luoghi di perdizione ne ho visti e girati tanti, troppi.
Lo bisbiglio a Ibrahim, ma quello è sempre stonato dall’hascisch e non sa nemmeno se sta al mondo. Mi guarda con gli occhi lacrimosi semichiusi e mi fa: Dici? Ah bene, bene, ci meritiamo il meglio noi, siamo i prescelti. Sorridendo come un deficiente.
Con Abubaker non ci provo nemmeno, ha tanto cervello quanto una nocciolina e borbotta in continuazione tra sè e sè versetti del Corano. Sembra molto pio, finché non ti accorgi che è completamente autistico. Andato. “Almeno servirà a qualcosa”, mi ha risposto il capo quando gli ho chiesto perché mai dovesse far parte della squadra anche un majnun, un demente.
Allora affronto la questione di petto e chiedo ad Ahmed, che l’aveva prenotato su internet: Fratello, dimmi, perché tutto questo sfarzo? Noi siamo soldati, non sgualdrine o lūṭī effeminati. A che ci servono kit per la doccia, accappatoi immacolati e l’ingresso gratuito al centro benessere? Che ce ne facciamo di un frigo bar pieno di alcolici che come sai meglio di me sono haram?
E Ahmed, possa l’Onnipotente sfigurare con un fulmine la sua faccia tosta, mi fa: Fratello, devi credermi, ho preso il primo albergo dove ho trovato posto. Non ho nemmeno guardato le foto. E comunque era un’offerta, sai, spendiamo pochissimo. E la nostra causa ha bisogno di tutto il denaro possibile, peccato buttarlo via.
Uno sfoggio di virtù, tengo a sottolineare, realmente stomachevole. Ahmed ha debiti in tutto il mondo grazie al suo vizio del gioco e sì, se volete saperla tutta, io non l’avrei scelto per questa missione, perché non ne è degno, sotto molti punti di vista. Ma non decido io. A me hanno solo affidato la responsabilità del gruppo e di questo disastro dovrò sì rispondere io, nelle dovute sedi. Quando usciremo di qui, intendo. Perché la nostra missione ormai è andata a ramengo, è chiaro.
Le stanze, due e comunicanti, con imbarazzanti letti matrimoniali – ti avevo detto che non ho nemmeno guardato le foto, ha bisbigliato Ahmed con tono di scusa, balbettando – sono state l’inizio della fine.
“Non ho mai fatto l’idromassaggio, sia lode ad Allah che me ne offre l’occasione”, ha detto con voce limpida e squillante Abubaker, interrompendo le sue litanie e sorprendendomi perché non immaginavo conoscesse l’inglese. E nemmeno che sapesse parlare, se è per quello.
Non c’è stato verso. Biascicando benedizioni si è spogliato, ha recuperato dai suoi bagagli un costume da bagno (un costume da bagno!) e avvolto nell’accappatoio è uscito in cerca della spa come se non avesse mai fatto altro in vita sua.
A questo punto Ibrahim, che intanto si era sdraiato sul letto a fumare una delle sue solite canne, strizza l’occhio ad Ahmed e gli fa: “Ehi, quando arrivano le ragazze?” Ahmed è diventato rosso quanto può esserlo uno yemenita così scuro da passare facilmente per magrebino e ha borbottato “Dai Ibra, lascia perdere”.
Ragazze! Ahmed che significa? sono sbottato. Non mi dirai che hai intenzione di introdurre qui dentro delle donne? Sei forse posseduto dai djinn?
E allora Ahmed mi ha preso da parte e mi ha spiegato che Ibra, proprio quel pomeriggio, io non me n’ero accorto, no, ma lui sì, ecco, aveva avuto una crisi. Voleva mollare tutto, diceva che non era pronto, che non se la sentiva, che i suoi ci sarebbero rimasti malissimo perché volevano dei nipotini e di uno shaid in famiglia invece non sapevano proprio che farsene. Allora, sai, per convincerlo, per motivarlo, gli ho detto: “Dai Ibra, che stasera in albergo avremo anche delle ragazze bellissime. Un anticipo di paradiso, eh?”.
Brillante idea Ahmed, e ora che facciamo? gli ho sussurato all’orecchio mentre Ibra ci sorrideva con tutti i suoi denti d’oro in mostra.
E Ahmed: “Bè, capita che proprio qui di fianco ci sia una ragazza, sai, una di quelle, una sharmoota russa. L’ho scoperto per caso, ha aggiunto, notando come lo guardavo. E con il tuo permesso…Dai, domani riscatteremo tutti i nostri peccati, cosa vuoi mai che sia. E poi Ibra è sempre così strafatto che dubito possa combinare qualcosa, ha concluso con una risatina lasciva.
E così, Ibrahim, detto Ibra dagli amici, è stato condotto – perché da solo non era in grado nemmeno di reggersi in piedi – dal suo anticipo di paradiso alla porta accanto. Inutile precisare, immagino,che il compito è toccato a me.
La puttana che mi ha aperto la porta, notevole lo ammetto, una bionda tutta curve e occhi azzurri sgranati, sapeva già tutto e ci ha accolto con un sorriso materno. Ibrahim, benvenuto, ha trillato e poi ha richiuso la porta dietro di lui strizzandomi un occhio.
Così siamo rimasti soli, Ahmed e io. E ci siamo infilati a letto, che altro potevamo fare? Nello stesso letto, sì. Ahmed mi ha fatto notare che gli altri due sarebbero rientrati più tardi e quindi tanto valeva.
Non so quando abbiamo iniziato a bere. E’ stato Ahmed a proporlo, ne sono certo. Un goccio, che sarà mai. Certo, ero triste. Il giorno dopo sarei morto. Sì, il paradiso, la gloria, e tutto il resto. Ma intanto, quella era la mia ultima sera sulla Terra e mi venivano in mente tutti i saluti che non avevo avuto modo di fare, tutte le persone che non avrei rivisto e i posti dove ero stato e quelli dove avrei voluto andare. E anche, ebbene sì, anche il mio gatto. Un bellissimo gatto d’angora bianco, Noor, che a casa dormiva con me, e da cui non sarei mai più tornato. E che mi avrebbe cercato invano, per tutta la casa.
Alla fine ci siamo scolati il frigo bar. E’ compreso nel prezzo, mi rassicurava Ahmed. Come se me ne importasse, a quel punto.
Forse pensava che fossi troppo ubriaco per reagire quando, più tardi, ci provò. Dormivo, o quasi, ma le sue mani sudaticce appoggiate sulla schiena mi svegliarono all’istante. Ahmed, strillai. Scusa fratello, mi sussurrò, ma mi sento tanto solo e tu, bè, mi piaci da sempre, l’avrai pur capito.
E di nuovo attaccò con la sua litania: Domani laveremo nel sangue tutti i nostri peccati, che differenza può fare? Fratello, non essere crudele.
Io non sono crudele, Allah mi sia testimone. Ma non sono nemmeno uno shaz. Insomma, non mi piacciono gli uomini, che il Profeta mi aiuti.
Ho passato la notte a respingere le mani avvolgenti e umidicce di Ahmed e ad ascoltare le sue alcoliche dichiarazioni d’amore eterno.
Particolarmente repellente mi è sembrata l’idea che potessimo vivere insieme per sempre: Ahmed immaginava un paradiso tutto suo dove alle tradizionali vergini promesse ai sahid si sostituiva un unico sposo maschio, che sarei stato io. Non sono nemmeno stato lì a spiegargli che era un’idea blasfema. Non credo conosca il significato della parola.
E infine, alle sette del mattino dopo, pesti e variamente insonni, ci siamo riuniti per la colazione. Ed era già iniziata male perché Ibrahim si era portato dietro la ragazza bionda e se la teneva per mano, tutto trasognato, sussurandole all’orecchio quelle che sono certo fossero sconcezze. Abubaker intanto bofonchiava inni in onore dell’acqua purificatrice.
E a quel punto è successo. Avevo un cerchio alla testa impressionante e la bocca arida come il Sahara. Quando Ahmed è arrivato al tavolo con un sorriso sfolgorante e il piatto pieno di salumi ho sentito qualcosa cedere nella mia testa. Credo di avergli fatto volare via il piatto con un manrovescio. Che caratteraccio che hai, pensavo di averti calmato stanotte, mi ha detto lui, guardandomi con tenerezza.
Non ricordo con precisione il resto. So che ci siamo presi a pugni e a calci e a male parole. A un certo punto il tavolo del buffet è stato rovesciato e nel mezzo di quel casino Ibrahim ha urlato: “Col cazzo che vengo con voi oggi, shaheed delle mie palle. Io sto qui e mi sposo con Veruska e facciamo tanti figli e voi andate pure a farvi fottere come preferite.
Il resto lo si può immaginare, no? Dopo un po’ arrivato il direttore, seguito da alcuni agenti e tra le risate, le urla di incitamento e la riprovazione generale siamo stati condotti via. Beduini tornate a inchiappettarvi i cammelli era l’epiteto più garbato. Gli altri non sono adatti alle orecchie di un credente quindi li ho dimenticati.
E ora siamo qui. Forse riuscirò a rivedere Noor prima di essere punito come merito per il mio fallimento. Chissà.
Prima di scrivere il commento precedente non avevo letto “La vigilia”. Racconto di gran classe, esilarante e perfido. Perfetto